martedì 10 novembre 2009


All’on. Massimo Calearo Ciman

e p.c. Ai coordinatori di Circolo

Ai coordinatori di Zona

Ai componenti Assemblea Provinciale

Ai componenti Assemblea Nazionale

Ai componenti Assemblea Regionale

Caro Massimo,

mi permetto di scriverti alcune righe all’indomani della tua decisione di lasciare il Partito

Democratico e, nel farlo, cercherò anche di interpretare i sentimenti degli iscritti e degli elettori che

ti hanno votato non più tardi di un anno e mezzo fa.

Quando Walter Veltroni annunciò la tua candidatura al Parlamento più di qualcuno nel PD

rimase letteralmente incredulo perché sembrava inconcepibile che un confindustriale di peso,

addirittura un “falco” nelle trattative con i sindacati, venisse candidato, come capolista, da un

partito di sinistra. Molti di noi però giustificarono e approvarono la scelta: se il PD voleva e vuole

essere un partito del lavoro, oltre che di tanti altri valori, deve anche rappresentare adeguatamente il

mondo imprenditoriale.

Quante volte abbiamo detto che la ricchezza del partito sta non solo nella pluralità delle

culture che lo hanno fondato ma anche nelle biografie, necessariamente diverse, delle persone che

hanno deciso di aderirvi? Innumerevoli.

In questi mesi non ci siamo pentiti della scelta, lavorando fianco a fianco abbiamo imparato

a conoscerci, ad apprezzare il tuo impegno e ad accettare anche quegli aspetti del tuo agire che

magari si conciliano meglio ad un consiglio di amministrazione che ad un partito.

Ora, nel mezzo di un percorso ancora lungo, difficile ma non privo di soddisfazioni (e penso

al successo di partecipazione delle ultime primarie) arriva la tua decisione di lasciare il PD per

andare, presumo, nel gruppo misto della Camera. La giustificazione, mi par di capire, è “che il PD

non è più quello di Veltroni ma sta prendendo una deriva socialdemocratica che lo porta lontano

dal mondo imprenditoriale.”

Sulla base di queste tue dichiarazioni, mi sento di esprimerti alcune considerazioni che per

ragioni di sintesi preferisco esporre per punti:

1. Quando un esponente politico perde una battaglia congressuale non abbandona il partito

lamentandosi del fatto che il partito non ha avuto la lungimiranza per seguirlo, ma lavora

ancor più per dimostrare la validità delle proprie idee.

2. Non credo che il PD stia seguendo una deriva socialdemocratica se con “deriva

socialdemocratica” intendi la volontà di costruire un partito che non riconosca e non

valorizzi le altre culture fondative: cattolico-democratica, ambientalista, liberal-democratica,

ecc. Vorrei però sottolineare che partiti socialdemocratici, nelle varie accezioni nazionali,

hanno guidato e guidano grandi paesi europei (Spagna, Inghilterra) anche per i risultati che

hanno saputo conseguire in campo economico.

3. Per quanto riguarda i rapporti con gli imprenditori, c’è inoltre da aggiungere che Bersani è

sicuramente uno degli interlocutori più attrezzati per dialogare con loro (non è il caso di

ripercorrere qui la sua biografia politica ed i suoi rapporti con il mondo economico).

4. Non ci sono elementi per dire adesso, come ha fatto Rutelli, che il progetto del PD sia

fallito. Almeno che Rutelli non confonda i suoi fallimenti personali con quelli del partito

che, con non poche titubanze, ha contribuito a fondare. Rutelli avrebbe avuto più coraggio,

lui che “coraggioso” lo è da sempre, se avesse ammesso che nel progetto ha creduto

solamente nella misura in cui poteva consentirgli di ridiventare sindaco di Roma.

5. Sono convinto che si sia tornato a parlare di “nuovo centro” non tanto perché il PD è in crisi

ma perché, esattamente al contrario, ad essere in crisi è il PDL. Chi lavora ad un progetto

“centrista”, cioè, lo fa perché spera o crede in uno smottamento degli attuali assetti partitici

del centrodestra, e segnali che si vada in questo direzione ce ne sono già in abbondanza.

Arrivati a questo punto, caro Massimo, non c’è molto altro da dire. Ho evitato di rilasciare ai

media delle dichiarazioni polemiche per non avallare l’idea che il nostro sia un partito afflitto da

una litigiosità perenne ma credo anche che i Democratici vicentini si meritino qualcosa di più di

un addio a mezzo stampa.

Cordialmente,

Federico Ginato

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