mercoledì 26 maggio 2010

relazione di PIER LUIGI BERSANI

ASSEMBLEA NAZIONALE DEL PARTITO DEMOCRATICO

ROMA, 21,22 MAGGIO 2010


PREPARIAMO

GIORNI MIGLIORI

PER L'ITALIA


Relazione di

Pier Luigi Bersani




Cari amici e compagni,

la domanda centrale per me è una sola. Sappiamo metterci all’altezza del nostro compito? Sappiamo metterci in sintonia con i problemi del nostro Paese e organizzarne la riscossa?

Per quante sfumature possiamo usare per interpretare le recenti elezioni regionali, il fatto incontrovertibile è che non siamo ancora riusciti ad interpretare il disagio e l’inquietudine profondi che il paese vive e che si esprimono piuttosto in disamoramento o in radicalizzazione impotente.

Da dove prendiamo questo problema? Io dico che non ci aiuterebbe fare dei girotondi su noi stessi. Non ci aiuterebbe discutere solo di noi e con parole che solo noi comprendiamo e che ci allontanano dal senso comune. Credo che noi riusciremo a rispondere a quella domanda centrale, credo che troveremo quello che cerchiamo dall’inizio della nostra storia (cioè una più precisa identità, una vera coesione, un radicamento forte, una strada buona per l’alternativa) se ci porteremo direttamente al cuore dei problemi degli italiani e se porteremo lo sguardo all’altezza delle responsabilità che competono ad una delle più grandi forze progressiste europee, quale noi siamo. E se faremo tutto questo tutti assieme, in un Partito plurale ma corale e capace di essere stimato ovunque.

E’ questo il senso di fondo dell’iniziativa che parte con questa nostra Assemblea. Mentre conduciamo la nostra battaglia di opposizione ci mettiamo a lavorare per proporre giorni migliori agli italiani, aprendo canali larghi di partecipazione su proposte e iniziative non astratte ma assolutamente attuali che si rivolgono ai problemi veri.

Avvieremo tutto questo in una cornice politica che cercherò di delineare in questo intervento. Una cornice che prende le mosse da una questione preliminare e cruciale, senza affrontare la quale la politica, compresa la nostra, non può farsi ascoltare dagli

italiani, qualsiasi cosa dica. Sto parlando dell’etica pubblica, dell’illegalità, della corruzione. E sto parlando di una politica che su questo fondamentale terreno perde voce e credibilità lasciando così che si diffonda quel cancro della democrazia che è l’antipolitica.

Dobbiamo assumere pienamente questo problema combattendo innanzitutto perché non diventi impossibile illuminare i fatti di malversazione e di corruzione. La giusta esigenza di eliminare l’abuso delle intercettazioni e la loro conseguente diffusione, si sta ribaltando in norme che danneggiano gravemente le indagini e mettono un bavaglio all’informazione sconosciuto ad ogni Paese democratico.

Di fronte a norme del genere è per l’opposizione doverosa ogni pratica ostruzionistica.

Partiamo dai recenti casi della cosiddetta cricca. Non è solo questione di mele marce come dice Berlusconi. La questione è il cesto e cioè il sistema. Un sistema di progressivo allestimento di procedure e strumenti capaci di svuotare con mille eccezioni e deroghe le regole di trasparenza e di imparzialità nella gestione del denaro pubblico. Un sistema che lascia prive di ogni seria riforma le regole ordinarie, spesso barocche e inefficienti, per ricavare un alibi al dilagare di meccanismi derogatori che aprono un’ autostrada alla corruzione e che negli ultimi due anni hanno sfacciatamente attratto una quota rilevantissima di investimenti pubblici. Se elencassi qui casi di deroga, di eccezione, di secretazione non mi basterebbe tutta la relazione. Proponiamo una immediata e generale rivisitazione di queste norme ed un perfezionamento delle procedure ordinarie di gara. Il Governo, invece di chiacchierare di mele lasciando tutto com’è, faccia lavorare la Magistratura e ci dica da parte sua che cosa intende fare per intervenire sul sistema.

Le misure anticorruzione presentate dal Governo sono acqua fresca. Nella mozione che abbiamo presentato al Senato abbiamo dettagliato le nostre proposte di rafforzamento. Dico qui che l’introduzione del reato di autoriciclaggio è indispensabile. Abbiamo presentato norme per rafforzare l’incandidabilità di chi ha commesso reati, essendo quelle presentate dal Governo totalmente insufficienti. Mi fermo qui. La questione morale e della legalità è sempre aperta nel nostro Paese. Vogliamo farcene carico scegliendo tre precisi criteri:

1. La Magistratura deve poter operare nella pienezza degli strumenti e con norme rafforzate;

2. In ogni campo bisogna restringere l’intermediazione amministrativa nei fatti economici secondo principi di automatismo, di trasparenza, di concorrenza;

3. Ci vuole una legge sui Partiti in applicazione della Costituzione che preveda codici deontologici e sanzioni con evidenza pubblica.

In attesa di una simile normativa il Partito Democratico con le decisioni statutarie di oggi si impone regole ulteriormente stringenti a proposito della moralità pubblica e soprattutto introduce strumenti che rendano applicabile ed esigibile davvero il suo codice etico.

Nemmeno può essere sottaciuto un secondo tema, ben diverso dal primo, che tuttavia determina fortissimo disagio nell’opinione pubblica: il tema cioè dei costi e dei privilegi della politica.

Non è certo difficile contrastare a questo proposito le alterne demagogie della destra. Tanto per dirne una sola, ci chiarissero Tremonti, Gasparri e Calderoli di quante volte si siano moltiplicati rispetto al Governo Prodi i voli di Stato, addirittura nel frattempo secretati! Quanto al contributo dei Parlamentari basterebbe alla destra riprendere l’emendamento nostro di un anno fa, che a fini di sostegno alle fasce di povertà prevedeva un prelievo straordinario per i redditi dai Parlamentari compresi in su. Allora lo bocciarono, adesso potrebbero facilmente riprenderlo.

Ricordo anche che abbiamo presentato in Parlamento norme per la riduzione del numero dei Parlamentari. Non può essere questa l’occasione per varare almeno questa riforma? Quanto ai costi generali della politica ribadiamo la proposta di una loro parametrazione alla media dei Paesi europei. Aggiungo che sarebbe anche il caso di chiedersi come sia possibile che un funzionario pubblico abbia dichiarazioni dei redditi da uno o due milioni di euro attraverso incarichi straordinari, arbitrati o collaudi e di chiedere come mai le norme molto restrittive introdotte su questo da Prodi siano state cancellate dalla destra. Sono norme da ripristinare.

Tutto ciò detto ancora una volta non vogliamo sottrarci alle nostre responsabilità. Abbiamo iniziato un lavoro ulteriore in proposito, ne troverete alcune tracce nei documenti e chiederemo obiettivi di contenimento dei costi della politica e della macchina pubblica a tutti i nostri Amministratori.

Sappiamo infatti che senza preservare la dignità della politica non ci può essere una risposta ai problemi e tanto meno una risposta progressista ai problemi.

Cari amici e compagni, in questi giorni eventi drammatici ci hanno di nuovo portato il mondo in casa. Due soldati italiani morti in Afghanistan, altri soldati feriti. Abbiamo espresso il dolore, il cordoglio, la solidarietà. Diciamo che i talebani non possono averla vinta contro il Governo afghano e la comunità internazionale. Diciamo altresì che la comunità internazionale deve mobilitare di più le risorse della politica per ottenere un miglioramento della situazione sul campo anche coinvolgendo le potenze regionali. Con quattromila uomini in Afghanistan l’Italia deve esprimere una funzione politica più significativa. Ribadire il nostro impegno, come è giusto fare, non significa infatti non considerare le difficoltà della situazione. Un altro italiano muore in Thailandia svolgendo un lavoro prezioso e coraggioso. Anche per questa morte il nostro cordoglio. C’è un mondo pieno ancora di violenza, che non rafforza gli strumenti di governo globali, che non risolve (e a volte non accetta nemmeno di vedere) i grandi problemi della pace e della guerra nelle diverse aree regionali, delle guerre oscurate e dimenticate, dei milioni di profughi, delle migrazioni drammatiche o silenziose; un mondo che non ha ancora la forza di affrontare unito gli insulti arrecati alla terra e

all’atmosfera, che non riesce a mettere le briglie a fenomeni incontrollati come i movimenti della finanza; un mondo in cui, d’altra parte, centinaia di milioni di uomini e di donne stanno risolvendo, pur nella crisi, i problemi della fame, della casa, della luce elettrica, dei farmaci essenziali. Da ogni parte ci arrivano segni di un cambiamento epocale di cui scorgiamo anno dopo anno gli aspetti parziali ma che non afferriamo ancora nell’insieme. Nel 2010 la Cina crescerà del 10%, l’India dell’ 8, il Brasile del 7, gli Stati Uniti del 3, l’Europa dell’1. Da anni ormai le cose viaggiano così e in quei dati non c’è più solo della quantità: ci sono grandi correnti di innovazione che promettono una divisione internazionale del lavoro totalmente nuova, un cambio di paradigma, una strada da riprogettare per le nuove generazioni. La crisi finanziaria e la recessione stanno dando una accelerazione forte ai cambiamenti senza, fin qui, incidere sugli assetti regolativi. Prevale ancora l’incertezza. Ma una cosa è sicura. Tutto il mondo si chiede che ruolo avrà l’Europa nel futuro. La fase di globalizzazione prima e la crisi poi hanno certificato che l’Europa non si è data ancora assetti convincenti sul piano istituzionale e su quello economico e sociale. Del resto ciò è segnalato anche dal termometro della politica. I cicli politici si accorciano e si fanno precari, crescono disaffezione e radicalizzazione, non c’è Governo europeo che non abbia qualche problema di credibilità o di stabilità.

La tempesta finanziaria e la crisi greca hanno determinato un passaggio cruciale. L’Unione Europea di fatto, brutalmente e di necessità, sta di nuovo entrando in una specie di fase costituente. Nell’emergenza si riaffaccia confusamente quell’esigenza di integrazione testardamente negata o smentita per anni. Anche in casa nostra abbondano palinodie e riconversioni. Chi ha azzoppato l’Europa adesso l’invoca.

In questo dirsi tutti europeisti c’è naturalmente la paura del baratro che viene evocato attorno alla tenuta dell’Euro. Forse chi aggredì Prodi quando entrammo nell’Euro si rende conto adesso che senza l’Euro noi saremmo nel Mediterraneo con della carta straccia in tasca.

Ma anche escludendo il baratro, è del tutto irrisolto in Europa il problema dello sbocco di questa nuova fase. Tocca anche a noi, Partito Democratico, dire adesso una parola chiara.

Dirla nella dimensione europea e dirla innanzitutto nel concerto dei Partiti progressisti con i quali è urgente una discussione politica franca e risolutiva. A che cosa pensiamo dunque? Ad un’Europa intergovernativa, mercantilista, tutta orientata alle esportazioni, guidata da una Germania che prende il ruolo di una “Grande Svizzera”, a un’Europa che cerca il suo equilibrio finanziario nella riduzione del modello sociale? Dobbiamo sapere che quello che sta avvenendo può portare ad un esito simile. Noi non la pensiamo così. Per noi e per i nostri figli, noi crediamo ad un’Europa federale, con istituzioni pienamente democratiche, orientate alla crescita, al lavoro e ai diritti, con un adeguato sviluppo del mercato interno; condizioni queste indispensabili per qualificare il rigore finanziario. Un’Europa costruita con adeguate cessioni di sovranità e che trovi nell’area dell’Euro la sua locomotiva, anche attraverso cooperazioni rafforzate.

I Partiti Socialisti e Democratici Europei devono comprendere che nel ripiegamento nazionale vince la destra e che le forze progressiste possono trovare una vera funzione solo portando i problemi e le soluzioni alla loro vera dimensione che è quella sovranazionale. Accompagneremo questa visione con una piattaforma da confrontare nelle sedi politiche parlamentari europee in cinque punti, di cui dò i titoli:

1. Una regolazione stringente ed una vigilanza federale dei mercati finanziari (hedge funds, fondi sovrani e attività speculative);

2. Piano europeo per il lavoro finanziato con eurobonds per ricerca e innovazione, politiche industriali, infrastrutture strategiche;

3. Apertura del mercato interno secondo linee guida predisposte nel rapporto Monti;

4. Coordinamento delle politiche fiscali, lotta ai paradisi fiscali, tassa sulle transazioni finanziarie speculative;

5. Apertura in sede WTO di una iniziativa per introdurre standards sociali ed ambientali minimi negli scambi di merci e servizi.

Con la stessa ispirazione di fondo noi vogliamo affrontare la questione nazionale che si è aperta in Italia. Risanamento finanziario, crescita, lavoro, diritti per noi sono parole gemelle. Chi contrappone il risanamento a tutto il resto non ha capito come è fatto questo Paese.

Il problema di questo Paese non è il socialismo della spesa, come ha scritto un autorevole commentatore. Il problema è il populismo e il corporativismo della spesa. Basta guardare le tabelle e vedere dagli anni ’90 ad oggi quali Governi abbiano controllato meglio la spesa corrente e quali l’abbiano fatta crescere di più.

Ma c’è qualcuno che può ancora davvero pensare che se l’Italia rinuncia a una prospettiva riformista e progressista abbia in cambio una prospettiva liberale? Dove sarebbero questi liberali nella destra? No, si aprirebbe una prospettiva corporativa e populista dove ognuno si difende e i forti si difendono di più e meglio, e dove lo Stato e la finanza pubblica vengono assunti come una controparte, un oggetto esterno, una mucca da mungere. Questa è la realtà dell’Italia. Non ci può essere senso del collettivo, della comunità, dello sforzo comune al di fuori di una prospettiva riformista, al di fuori di un rigore che sappia incorporare equità, solidarietà, civismo, lavoro.

Questo nostro Paese sta vivendo un dramma silenzioso. Uno scivolamento rispetto all’Europa e al mondo e una dissociazione interna.

Vorrà pur dire qualcosa se nel 2000 eravamo al 117% della media europea del reddito procapite e adesso siamo al 94. Vorrà pur dire qualcosa se a Trento la disoccupazione giovanili è all’11% e in Sardegna è al 44%.

Ormai non è più un’ipotesi. Noi convergiamo verso le economie più deboli d’Europa e ci allontaniamo dalle economie più forti mentre all’interno il Sud si allontana dal Nord. La crisi ha accelerato questo scivolamento. In due anni abbiamo perso quasi il doppio della ricchezza rispetto all’area Euro. Dovremmo adesso crescere il doppio per tenere il passo.

In realtà nel 2010 cresceremo un po’ meno degli altri. La destra non coglie il problema, lo nega, non cerca la chiave di una riscossa nazionale, di un difficile sforzo collettivo. Questa è la sua vera colpa, che può rivelarsi una colpa storica.

La destra minimizza. Concede spazio al modello corporativo, al far da sé di ceti, di categorie, di territori. Ha governato sette anni degli ultimi nove, semplicemente accompagnando questo scivolamento. Non c’è una riforma vera che si ricordi. Ha impostato, a partire dalla legge elettorale, un meccanismo di personalizzazione populista che, sommato al conflitto d’interessi, possiamo chiamare berlusconismo.

Un meccanismo totalmente inadatto a decidere perché tarato sull’accumulazione generica del consenso e non sulle decisioni. Del resto la democrazia populista, per definizione, è una democrazia che non decide. E qui c’è il nesso, lo ribadisco, fra questione democratica e questione sociale. In una società moderna e complessa, in una società europea, solo ammodernando le istituzioni in una democrazia saldamente costituzionale si può decidere e riformare. E possiamo dirlo meglio noi italiani che abbiamo, nei suoi fondamenti essenziali, la Costituzione più bella del mondo.

Questa impossibilità di decidere ha in realtà paralizzato il Governo anche davanti alla crisi. Sostanzialmente il Governo ci ha raccontato che non c’era, o che era alle nostre spalle. Ci è stata fornita una narrazione edulcorata e minimalista secondo la quale in omaggio ai conti pubblici bisognava star fermi. Adesso si scopre quello che avevamo visto ben chiaro: star fermi non ha messo al riparo i conti pubblici. Non c’entra la Grecia. L’unica voce su cui risparmieremo rispetto alle previsioni sarà la spesa per interessi! No. Noi abbiamo avuto previsioni di finanza pubblica sbagliate, sul tasso di crescita, sulle entrate fiscali, sull’andamento della spesa pubblica. La spesa corrente è cresciuta, gli investimenti si sono ridotti, non c’è stata nessuna riforma utile a stimolare l’economia. Questa è la verità.

Tutto si è scaricato sugli investimenti, sui redditi medio-bassi e sulle fasce di povertà. Nessun contributo è venuto dalle ricchezze e dalla rendita. Nessun contributo è venuto dall’enorme sacca di evasione. Questa è la verità.

Non ci si dipinga dunque come degli sconsiderati. Due volte la destra ci ha caricati su un traghetto verso al Grecia, due volte noi l’abbiamo riportato indietro perdendoci anche le elezioni. E del resto non è stato un Governo di centrodestra a portare la Grecia nel baratro addirittura falsificando i conti? E la si smetta con la penosa propaganda del tipo: non metteremo le mani nelle tasche degli italiani; dovete toglierle le mani dalle tasche degli italiani, di quelli che le tasse le pagano davvero, che non le hanno mai pagate così alte e che si preparano, a quanto si capisce, a ulteriori sacrifici.

E la si smetta con annunci di lotta all’evasione che si risolvono sempre con dei condoni, fino a dei veri e propri riciclaggi di Stato! Ripetiamo ancora e ripeteremo sempre, senza mai stancarci: quando due anni fa il Governo tolse l’ICI alle fasce alte, finanziò Alitalia, tolse misure antievasione, incentivò gli straordinari noi proponemmo in alternativa un grande piano di piccole opere attraverso una deroga al patto di stabilità dei Comuni ed una operazione fiscale sui redditi medio-bassi per stimolare occupazione e consumi, chiediamo: chi aveva ragione?

Da allora e per due anni il Governo minimizzò la crisi. Noi dicemmo che sarebbe stata lunga e pesante, chiediamo: chi aveva ragione?

Adesso diciamo a chi ci ha portati fin qui:

Caro Berlusconi, caro Tremonti, bisogna che vi convinciate che senza un po’ di crescita in più non terremo i conti a posto e alla lunga non convinceremo i mercati perché a ritmi di crescita così bassi il debito non si assorbirà mai. Se si vuole una manovra che non sia ulteriormente depressiva c’è bisogno di una svolta, bisogna cominciare finalmente a metterci coraggio, bisogna dire finalmente che il Paese ha un problema serio, ben al di là del raggiungimento al 2012 del parametro di deficit; un problema che riguarda la nostra struttura economica e sociale.

E allora:

1. Bisogna alleggerire rapidamente il lavoro, l’impresa e le famiglie e mettere il carico sulla rendita e sulle ricchezze, così come avviene in tutti i Paesi del mondo avanzato nessuno dei quali, aggiungo, esclude il patrimonio dalla responsabilità collettiva;

2. Se si vuole davvero recuperare evasione si può. Ci sono tutti gli strumenti tecnici ormai per ottenere trasparenza e tracciabilità di redditi, patrimoni e ricchezza. Se non si vuole spremere le meningi, si può prendere qualche norma da Francia, Germania o Stati Uniti;

3. Se si vuole davvero controllare la spesa corrente dopo il totale fallimento di questi due anni aprendo finalmente qualche spazio per gli investimenti e l’occupazione non si può svegliarsi la notte ad inventare tagli lineari. Bisogna predisporre meccanismi a cominciare dai beni e servizi della Pubblica Amministrazione, da piani industriali di riorganizzazione delle macchine pubbliche dalla promozione, col bastone e con la carota, delle migliori pratiche a cominciare dalla sanità;

4. Se si vogliono fare riforme che sollecitino l’economia bisogna aprire e regolare i mercati non chiuderli come si sta facendo in questi mesi;

5. Se si vuole dare un po’ di lavoro bisogna puntare sui piccoli cantieri e sull’efficienza energetica e le reti tecnologiche così da mobilitare risorse private e non sul punte sullo stretto di Messina.

La nostra sfida è sul terreno che abbiamo sempre chiesto: su una vera manovra economica non sull’ennesimo “tirare a campare” fatto di una catena di decreti e di fiducie dove si continua a sottostimare la spesa e a sovrastimare le entrate, dove non c’è mai un ragionamento di fondo, dove non si prende mai il toro per le corna. 46 Decreti fin qui e 33 voti di fiducia. Un voto di fiducia e mezzo al mese, agosto e Natale compresi. Per decidere che cosa? Per portare l’Italia dove? Si vuole ancora procedere così? Noi non ci stiamo. Questa è la sfida che portiamo alla destra in nome del futuro del Paese. E ammoniamo ancora: basta con provvedimenti che minano il civismo. Basta con condoni ammantati di qualche demagogia. Se chi ha regolarizzato e ripulito cento miliardi di Euro e ne ha pagati cinque avesse solo pagato quel che si è pagato in altri Paesi noi non staremmo qui a parlare di manovre. E c’è da chiedersi che cosa pagheranno adesso tutti questi mentre milioni di famiglie si stanno impoverendo?

Cari amici e compagni, quel che è certo è che Berlusconi non può dare un orizzonte nuovo al Paese. Di fronte all’opinione pubblica il Governo si è indebolito, in ultima analisi perché la narrazione propagandistica si scontra con la durezza dei fatti reali. Lo spazio delle promesse si stringe.

A tutto ciò si aggiunge l’emergere di una corruzione degli apparati a cui il Governo non è estraneo. Un Governo indebolito controlla tuttavia una maggioranza molto ampia. Il Popolo delle Libertà mostra crepe difficilmente sanabili ma non tali, fin qui, da costringere Berlusconi alla scelta fra cambiare o cadere. Tutto porta a dire che la situazione di palude e di immobilismo nell’azione effettiva di governo è destinata ad aggravarsi. La Lega si propone come dominus della situazione garantendo stabilità parlamentare in cambio della libertà di fare tutte le parti in commedia. Questo è un tema politico su cui tornerò.

Di fronte a tutto questo credo dobbiamo dire parole chiare. In un sistema bipolare la proposta politica è l’alternativa, e in una alternativa progetto e alleanza sono una cosa sola. L’emergenza non è una proposta politica. L’emergenza può essere un fatto e di fronte ad un fatto una grande forza nazionale come la nostra sa come prendersi le proprie responsabilità. Adesso, di fronte a noi, c’è Berlusconi. Nostro compito è condurre un’opposizione netta e visibile e costruire non in astratto ma nel vivo dei problemi attuali il progetto di alternativa.

Dobbiamo metterci al lavoro, tutti assieme. Vogliamo predisporre da qui al 2011 e mobilitando tutte le risorse intellettuali disponibili, una lettura aggiornata della missione dell’Italia nell’Europa e nel mondo, delle ragioni profonde del sentirsi italiani in termini di convivenza, di civismo e di legalità; della nuova reciprocità fra nord e sud del Paese. Un percorso che deve innanzitutto aiutarci a riprendere una battaglia ideale contro ideologie regressive che investono il Paese contrapponendo a pensieri cattivi che circolano nostri pensieri buoni. Idee di uguaglianza, di libertà, di fraternità, di convivenza. Le nostre idee, delle quali vogliamo essere in modo più esplicito sicuri e orgogliosi; un percorso che deve aiutarci a definire il nostro Partito come Partito del lavoro e della nuova generazione, come Partito della Costituzione e della democrazia, come Partito di una nuova unità della Nazione. Un Partito che raccolga più nettamente la bandiera dell’innovazione e del cambiamento e che al contempo rassicuri sui fondamentali del lavoro, della democrazia, dell’universalismo nella risposta ai grandi bisogni sociali. Non saremo i soli nei prossimi mesi ad impegnarci in una riflessione sulle grandi prospettive del nostro Paese. Sottolineo qui lo straordinario rilievo del documento varato dalla Chiesa italiana in preparazione della 46^ Settimana Sociale dei Cattolici. Un documento innovativo che contiene molte indicazioni preziose anche per la nostra discussione.

E dentro questo percorso, a partire da oggi, un progetto fatto non di conferenze programmatiche o di ponderosi volumi, ma di meccanismi di partecipazione sui temi cruciali della vita degli italiani. Vogliamo anche noi darci finalmente un metodo, come hanno da tempo altri Partiti progressisti europei, per coniugare politica e programmi. E vogliamo darcelo in modo originale, adatto alle forme nuove che il partito democratico vuole portare nell’esperienza politica italiana ed europea. Già questa Assemblea attiverà percorsi larghi e aperti di partecipazione su proposizioni innovative varate qui, sulla base di documenti elaborati dai Forum, dalla Segreteria e dai Gruppi Parlamentari. Discuteremo di lavoro, innanzitutto, contrastando l’idea che il problema di oggi sia quello dei costi o dell’ulteriore flessibilità e rivendicando invece l’esigenza di creare lavoro e dargli via via regole uguali a cominciare dalle nuove generazioni. Avanziamo queste nostre nuove proposte celebrando il 40° dello Statuto dei Lavoratori. Ribadiamo da qui la solidarietà e la vicinanza ai lavoratori dipendenti e autonomi che subiscono i colpi della crisi, la decurtazione dei redditi familiari, la drammatica incertezza per le prospettive di occupazione.


Il Partito Democratico è al loro fianco.

Discuteremo di Università presa fra emergenza incombente e riforma. Nell’avanzare le nostre proposte vogliamo continuare con determinazione rinnovata la nostra battaglia parlamentare e rivolgerci con una parola di solidarietà e di sostegno ai ricercatori che si stanno mobilitando. Salutiamo con soddisfazione i risultati delle elezioni per il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari che hanno visto una netta affermazione delle liste di centrosinistra e salutiamo il lavoro dei giovani democratici che stanno dando avvio alla loro campagna di adesioni.

Discuteremo di Economia verde come chiave d’impulso per una crescita sostenibile mentre confermiamo la nostra opposizione al piano nucleare del Governo.

Discuteremo di Giustizia con proposte prese dal lato del funzionamento di un servizio fondamentale per i cittadini e le imprese contrapponendoci in modo così più concreto ed evidente ad ogni deformazione ad personam di questo tema cruciale.

Discuteremo di Istituzioni, con proposte orientate a rinvigorire la nostra democrazia costituzionale e di metterla più in grado di rappresentare e di decidere.

Discuteremo d’Europa nel pieno del passaggio d’epoca cui ho fatto cenno.

Continueremo a lavorare per la prossima Assemblea via via su nuove proposte. Stiamo lavorando ad una riforma fiscale neutra in termini di indebitamento ma capace di spostare il prelievo da chi paga a chi non paga, da redditi di lavoro e impresa a redditi di rendita e di capitale, da attività positive ad attività negative per l’ambiente, fino a proposte di interventi fiscali sovranazionali. Si sta predisponendo una piattaforma di una iniziativa sull’immigrazione e in particolare sui diritti civili e politici degli immigrati a cominciare dalla cittadinanza dei loro figli e al voto nelle elezioni amministrative. Diritti di asilo e di soggiorno, di ingresso regolare al lavoro, di emersione, di programmi di integrazione: un quadro normativo aggiornato cioè alternativo alla Bossi-Fini.

Ci occuperemo di diritti, alzando la bandiera dell’Art.3 della nostra Costituzione oggi tradita dall’irrompere di culture regressive incoraggiate dalla crisi. Pensiamo soltanto alla condizione delle donne nel lavoro, alla totale scomparsa dall’orizzonte dei problemi dei portatori di handicap, all’insorgere di culture omofobiche su cui ribadiamo l’urgenza di intervenire con misure legislative. E ci occuperemo di scuola alla ripresa dell’anno scolastico, denunciando ancora il disastro provocato dal Governo , e riprendendo la questione del tempo pieno e dei moduli, dell’obbligo scolastico, dell’autonomia scolastica, dall’apertura della scuola per tutto il giorno, della formazione tecnica tradita dalla riforma delle superiori.

Ci impegneremo nel campo dell’informazione e della comunicazione per un legislazione antitrust nei diversi ambiti della comunicazione, mentre prevediamo nel nostro progetto istituzionale la costituzionalizzazione del tema del conflitto di interessi. Lavoriamo anche su una proposta molto semplice per ciò che riguarda la RAI. Un’Azienda pubblica davvero strabiliante. Accetta di buon grado di danneggiarsi togliendo trasmissioni di approfondimento in piena campagna elettorale; è disposta a spendere perché un grande conduttore se ne vada. Berlusconi che ne è oggi addirittura il Ministro la occupa come e quando vuole riempiendo di propaganda telegiornali e trasmissioni di intrattenimento e poi se ne lamenta e a giorni alterni minaccia il canone. Non credo che noi possiamo accettare una simile situazione. Noi proponiamo semplicemente che un’Azienda sia un’Azienda, che viva con le regole del Codice Civile e con un Amministratore delegato responsabile della gestione. I Partiti non devono essere coinvolti in nessun modo né direttamente né indirettamente in intricatissimi condomini che non sono in grado di contrastare un uso strumentale dell’Azienda.

Via via e a cominciare da oggi apriremo dunque un percorso di coinvolgimento organizzativo e in rete che interesserà i circoli, i mondi di riferimento, l’organizzazione delle feste fino all’allestimento di appuntamenti tematici in diverse città italiane. Daremo sostanza agli 83 Congressi provinciali e alle migliaia di Congressi di circolo che si svolgeranno nei prossimi mesi.

Nel percorso daremo una attenzione particolare al Sud. Abbiamo bisogno di raffigurare un nostro nuovo pensiero sul mezzogiorno fatto di battaglie di civilizzazione e di riforma che possano esprimere reciprocità con l’opinione pubblica del Paese in particolare del nord. Anche su questo si stanno predisponendo appuntamenti di elaborazione. Nel diciottesimo anniversario della morte di Falcone, ribadiamo che per noi Falcone e Borsellino non saranno mai eroi regionali, saranno sempre eroi nazionali.

Per far avanzare le nostre proposte ci affideremo ad iniziative legislative parlamentari ed in alcuni casi a leggi di iniziativa popolare. Non abbiamo una strategia referendaria per la buona ragione che negli ultimi 24 casi lo strumento referendario così come è oggi normato, ha assunto l’aspetto di una smentita per i proponenti; in molti casi inoltre le norme che derivano dai quesiti non sono in grado di dare risposte razionali ai problemi. Avanziamo qui la nostra proposta per una riforma dei referendum, così da dare loro efficacia. Detto questo voglio aggiungere che nel caso dell’acqua siamo assolutamente amichevoli verso tutte le posizioni, a partire da quelle dei referendari, che si oppongono ad una assurda privatizzazione forzata dell’acqua. Una grande forza come la nostra tuttavia ha sentito il dovere di predisporre una riforma vera e organica che è pronta e sulla quale raccoglieremo il sostegno dei cittadini.

Siamo interessati a confrontare le nostre proposte con le forze di opposizione parlamentare, l’UDC e l’Italia dei Valori, i Radicali ai quali voglio rispondere positivamente da qui alla richiesta di confronto che ci è venuta nei giorni scorsi. Lavoreremo anche con forze politiche che sono fuori dal Parlamento e che sono disposte ad approfondire con noi questioni dirimenti per il futuro del Paese. Non ridurremo quindi il tema delle alleanze a meccanismi politi cisti, ma lo terremo strettamente legato al progetto.


Cari amici, cari compagni, come vedete la nostra iniziativa è tesa a creare via via una fisiologia di partecipazione concreta e di innovazione nella vita del Partito e tuttavia siamo ben consapevoli che questo avverrà nel pieno di una battaglia politica che dovremo reggere su tutti i fronti e su tutti i temi che si presenteranno. Ce ne è uno in particolare che vogliamo aggredire e che definirei il federalismo delle chiacchiere. Il federalismo cioè a cui ognuno attacca il suo bengodi (più soldi, meno tasse, più servizi, più nord, più sud, più centro e più isole). La lega è la prima responsabile, ma non la sola, di questa colossale mistificazione.

I Comuni non sono mai stati messi peggio: senza autonomia finanziaria, senza possibilità di pagare le imprese e di investire i soldi che hanno, senza uno strumento per i bisogni sociali che la crisi scarica davanti ai Municipi. Le chiacchiere abbondano ma i risultati non ci sono e si prepara anzi a quanto è dato sapere una ulteriore stangata.

Con le chiacchiere e con l’ideologia non si mangia: vogliamo ricordarlo alla Lega, dicendole ancora che l’autonomismo non si può mistificare e strumentalizzare e che il colore del Comune è quello del suo Gonfalone, non è il verde. Il PD è il partito delle autonomie. Di una autonomia che non si chiude, che non semina pregiudizio verso le differenze, che non invoca il riparo di comunità omogenee per difendersi dal mondo. Noi siamo l’autonomia del Gonfalone, l’autonomia della convivenza, della coesione, dell’apertura, l’autonomia che vive mettendo al concreto un’idea di comunità dove i passi avanti si fanno tutti assieme. Quell’idea di autonomia che pochi giorni fa ha stravinto a Bolzano dove destra e Lega erano andate ad accendere le micce e a seminare idee di odio e di divisione.

Rilanceremo dunque la nostra idea di autonomia con i nostri 10.000 Amministratori, in grandissima parte giovani, che vogliamo mettere in rete e far diventar protagonisti della battagli apolitica e civile del PD. Il federalismo delle chiacchiere sta arrivando al capolinea.

Non intendiamo continuare a dare il nostro contributo in Commissione bicamerale girando sempre attorno alle premesse. O si arriva finalmente a parole chiare e a tabelle chiare sul nuovo quadro della fiscalità o faranno senza di noi. E aggiungiamo che in nome del federalismo delle chiacchiere non ci si può più sottrarre alle proprie responsabilità. E’ matematico che senza la Lega non ci sarebbe Berlusconi, non ci sarebbero stati i condoni,m le leggi ad personam, i ripiani di Catania e Palermo mentre Comuni virtuosi piangono, le leggi speciali sugli appalti così utili ai ladroni di Roma. Questa è la semplice verità che diciamo a gran voce e senza sconti. Capisco che alla Lega dia fastidio sentirsi dire tutto questo. Se non vuol sentirselo dire venga via di lì, dove è comodamente seduta, salvo nei week end.

Cari amici e compagni, ho detto all’inizio qual è il nostro obiettivo: metterci all’altezza dei nostri compiti. I nostri difetti, i nostri limiti li conosciamo e vogliamo superarli sapendo che comunque senza debolezze non saremo mai, sicchè il problema è essere più forti delle nostre debolezze e cioè affidarci alla battaglia politica, al progetto, ai rapporti reali con il Paese. Lì miglioreremo la nostra coesione. In un Partito necessariamente e utilmente plurale, non dobbiamo ossificare gli schieramenti congressuali né possiamo compensare questo rischio con dei politicismi fatti in casa. Lavoriamo assieme al progetto, coinvolgiamo ad ogni livello territoriale tutte le sensibilità, non accettiamo che qualcuno abbia la sensazione, giusta o sbagliata che sia, di essere escluso; impariamo a conoscerci meglio nel lavoro. Aggiungo che le regole non risolvono i problemi ma regole sbagliate o insufficienti possono aggravarli. Oggi procediamo ad alcune modifiche dello Statuto orientate principalmente all’assetto federale del Partito a cominciare dal problema radicale e fondante delle risorse (come si vede non scherziamo, facciamo sul serio), al potenziamento del ruolo dei circoli, alla trasparenza e alla moralità pubblica. Tutto questo va molto bene, ma il lavoro deve proseguire. In un assetto federale decentrato il buon nome del Partito resta un patrimonio collettivo che se viene impoverito in un luogo viene impoverito per tutti. Questo è il senso di una funzione centrale che è l’altra faccia del federalismo. Un equilibrio su cui dobbiamo tutti assieme lavorare. Lo Statuto è di tutti, non di una maggioranza, ma ciò significa anche che ciascuno deve prendersi la responsabilità di posizioni consapevoli dell’interesse generale del Partito.

Dicevo che non siamo senza difetti come forza politica e come forza di opposizione. Lavoriamo per migliorarci. Accettiamo le critiche, amichevoli od ostili che siano. Non accettiamo le critiche pelose. Le critiche di chi ad esempio nel vasto mondo delle cosiddette classi dirigenti, per qualificare il proprio conformismo verso la destra, se la prende con noi. Non accettiamo d’altra parte le critiche di chi, nella grande area politica e culturale del centrosinistra, per dimostrare quanto sia ferocemente contro Berlusconi se la prende con noi. A tutti questi dico: si può forse immaginare un’alternativa a Berlusconi contro il PD? La si può forse immaginare senza il PD? Si vuole davvero allora un’alternativa a Berlusconi? Se è così occorre un reciproco rispetto fra tutte le forze, le culture, i soggetti che possono dare un contributo all’alternativa. Rispetto per il PD anche in casa nostra.

Ciascuno di noi sappia, a cominciare da me, che quando parla o quando agisce maneggia una proprietà indivisa, un patrimonio comune non frazionabile in feudi personali o in ambizioni personalistiche.

E’ con questo messaggio che voglio concludere. Voglio pensare che con l’aiuto di tutti la discussione di oggi ci aiuti ad essere più efficaci nella battaglia politica, più capaci di dare impulso alla vita del Partito, e che possa aiutarci in particolare a metterci più vicino agli italiani.

2 commenti:

  1. Complimenti, avete avuto il coraggio di pubblicare questa mattonata.

    RispondiElimina
  2. una mattonata oggi, una mattonata domani, alla fine ci si sveglia ( fatti salvi eventuali trauma cranici)

    RispondiElimina

c/o Fondazione "MAURO NORDERA BUSETTO" Via Carlo Porta 36025 Noventa Vicentina (VI)