Roma, novembre
E allora, segretario, come sta? E non mi dica «bene»... «Sto da Dio». Pier Luigi Bersani sorride largo, con quella sua faccia da gatto del Chesire. Da gatto che ha mangiato il topo, si direbbe, anche se tutti i topi, nel suo partito e fuori, vorrebbero mangiarsi lui. È giovedì 18 novembre, siamo nel suo studio alla Camera, un ufficio neanche troppo grande nella Galleria dei Presidenti (la stanza che per tradizione viene riservata al capo dell’opposizione). Il segretario del Pd è ancora gasato dal blitz che ha fatto in mattinata a Palazzo Chigi, quando è entrato come un tornado nella sede del governo per esigere che Silvio Berlusconi facesse qualcosa per i rifiuti di Napoli. Un commesso lo ha accolto con una battuta che gli è piaciuta molto: «Già qui?».
Sta bene perché ci sono i primi sondaggi che darebbero vincente il centrosinistra?
«In realtà sono molto preoccupato. Ho una lunga esperienza di governo, a tutti i livelli, e il mio chiodo fisso è: come si fa a raddrizzare la baracca? Ho timori per l’Italia. Soprattutto per le nuove generazioni: come facciamo a dare lavoro ai più giovani?».
Lei ha due figlie. Pensa a loro?
«Anche. L’altro giorno si è laureata Elisa in Storia Medievale. Ha sempre preso 30 o 30 e lode. Molti ragazzi italiani hanno preso una buona laurea, ora hanno il problema di che cosa farsene. È un interrogativo lancinante, che riguarda tutti. Anche la mia generazione ha cominciato nella precarietà, ma avevamo sempre dentro l’idea che prima o poi si sarebbe arrivati, che si andava verso il meglio. Ora questa sensazione non c’è più, i giovani hanno davanti la nebbia. E la stessa insicurezza delle famiglie è legata a questo aspetto».
Qual è la prima cosa che c’è da fare per le famiglie italiane?
«Se governassi, farei subito la riforma fiscale, per alleggerire il peso delle tasse sui redditi medio-bassi e i nuclei familiari numerosi. Poi naturalmente investimenti per le imprese, caricando invece sulle rendite finanziarie e l’evasione fiscale».
Quella dell’evasione fiscale è una vecchia litania...
«Oggi gli strumenti ci sono. Non è facile ma si può fare. Per dare alle famiglie una chance in più di sopravvivenza».
Ci sono 11 milioni di cittadini che non pagano un euro di tasse. Di fronte a questo dato lei pensa che siamo più poveri o che ci sono troppi evasori totali?
«Non che manchino i poveri, purtroppo, ma ci sono troppi evasori totali. C’è una scarsa fedeltà fiscale, incoraggiata da una ideologia deleteria: fai come me, che faccio quel che voglio. Uno che evade le tasse dovrebbe vergognarsi di chiamare l’ambulanza quando ne ha bisogno! La politica lo deve dire forte: intanto paga, perché se no pagano gli altri al posto tuo. Non voglio fare il Robespierre, non amo le ghigliottine. Ma dico: facciamo una Maastricht della fedeltà fiscale, arriviamo anche soltanto alla media europea. Potremmo recuperare 40 o 50 miliardi».
Un nuovo miracolo italiano...
«È scandaloso che l’aliquota più bassa di una famiglia di un operaio o di un artigiano sia più alta di quella di chi ha speculato su un prodotto finanziario. È il mondo a rovescio».
Segretario, parliamo del Pd e delle sue alleanze. Un cittadino che sia potenziale elettore del centrosinistra non ci sta capendo nulla. Quando vi decidete a fare un po’ di chiarezza su quello che volete fare?
«Bisogna rendere credibile un’alternativa positiva. Partiamo da una considerazione: Berlusconi in questi anni è riuscito a mettere assieme tutto il potenziale del centrodestra, cioè non ha sfondato verso sinistra. Nel frattempo noi abbiamo pagato il prezzo delle divisioni e della mancanza di compattezza. La mia proposta parte ovviamente dal Pd: l’alternativa non si fa solo con noi, ma senza di noi non è possibile. Il Pd deve essere il punto ordinatore di un nuovo schema. Che, per me, è questo: un’alleanza tra le forze che si dichiarano di centrosinistra, però col vincolo che sia un’alleanza di governo. Io non voglio rifare l’Unione, l’ho già detto chiaramente nelle discussioni che abbiamo con la Federazione della sinistra. Sui temi della democrazia si ragiona con tutti, ma sul tema del governo il patto deve essere stringente. Abbiamo convenuto con loro che l’alleanza di governo non è possibile, mentre si può stare insieme per difendere la Costituzione o per cambiare la legge elettorale».
Quindi le forze più a sinistra sono definitivamente escluse?
«Diciamo che con loro non c’è una prospettiva di patto di governo, ma di dialogo sui temi democratici».
Cioè anche con Sinistra e libertà di Nichi Vendola?
«No, il discorso non vale per coloro con i quali già governiamo a livello locale. Con Vendola e Di Pietro noi siamo pronti a discutere di un’alleanza che abbia credibilità dal punto di vista della compattezza vera. Però con meccanismi per garantirla, perché a tutti i prezzi noi non ci stiamo. Per esempio, uno dei vincoli è di poter discutere con le forze di opposizione che si dichiarano di centro, e cioè l’Udc, per valutare un patto di governo».
E con Fini?
«Io parlo di Casini. Allo stato attuale penso che Fini stia facendo una sua proposta di ristrutturazione del centrodestra. Non c’entra nulla».
Non si fida di lui?
«Non dico questo. È che stiamo discutendo di alternativa. Ma adesso abbiamo un altro problema, più urgente. Mi segua. Si tratta di transitare verso una fase in cui si possano confrontare progetti nuovi. Il fallimento del centrodestra è evidente e nasce, al di là delle ville o non ville, dal fatto che questo governo non ha incrociato positivamente i problemi sociali ed economici della crisi. Tutti noi abbiamo vissuto in una democrazia deformata che non è stata in grado di decidere, perché il meccanismo di personalizzazione basato sul ghe pensi mi ci ha portato a non concludere niente. Ora dobbiamo uscire da questa fase con una transizione che dica: prima di tutto riscrivo le regole del gioco. Per farmi capire: toccasse mai a me, io il mio nome sul simbolo non-lo-voglio! Nel mondo democratico occidentale non ce l’ha nessuno. È una deformazione populista che serve solo a fare consenso fittizio, per un giorno, ma non decide mai niente. Quindi: rifare la legge elettorale, affrontare alcune emergenze e poi mandare il Paese di fronte ad alternative nuove. In questa fase sono disposto a discutere con chiunque voglia parlare di transizione. Qui c’entra ancora Casini, ma anche Fini o chi, dentro la maggioranza, avesse intenzione di confrontarsi».
Ci sono, nella maggioranza, interlocutori così?
«Non lo so. Però penso che, una volta dichiarata la crisi formale del governo, su queste ipotesi ci sia la possibilità di discutere. Del resto, le altre ipotesi sono distruttive».
Per esempio?
«Prima possibilità: andiamo avanti così? Siamo da anni avvitati sui problemi di un uomo solo, non ci stiamo occupando di nulla di nulla, lodi alfani, gossip, non si cava un ragno dal buco. E il Paese non è governato. Due: facciamo un Berlusconi bis? Siamo a un passo dal delirio, anche perché sarebbe il quater, abbiamo già dato... Tre: cerchiamo una soluzione dentro il perimetro di questa maggioranza, magari senza Berlusconi? Intanto, senza di lui è un’ipotesi illusoria, non lo vedo come un tipo che si autopensiona. In ogni caso il centrodestra ormai è un campo di Agramante, non è in condizione di andare avanti. Ancora: tiriamo fino a Natale e andiamo a elezioni anticipate...».
Umberto Brindani-