da Marta
Lettera aperta sul ricatto Fiat alle lavoratrici e ai lavoratori – Reggio Emilia, 17-01-11
Marisa Iori ( delegata del calzificio Bloch), Edda Montecchi (delegata Confit confezione), Franco Spaggiari (delegato Max Mara), Anna Scappi (delegata Max Mara), Paola Vezzosi (delegata Max Mara ), Paola Tirelli (delegata Coop.Nord Emilia), Piera Vitale (delegata calzificio Bloch)
Che viso avrà, a chi somiglia di quale potrei essere amica…..”
Cominciava così la bella introduzione di Rossana Rossanda al libro (Una storia Tante storie. Operaie della Bloch a Reggio Emilia. 1924-1978) sulla fabbrica fallita nel 1978 dopo oltre 50 anni di presenza sul mercato della calzetteria, dopo aver visto la presenza e la crescita di varie generazioni di donne, dopo 3 anni di lotte per evitarne la chiusura.
I visi delle operaie e degli operai Fiat, li abbiamo visti in questi giorni davanti ai cancelli della fabbrica o nel centro di Torino a dispensare volantini, a spiegare le ragioni del loro voto al referendum/ricatto, voluto dall’amministratore delegato Sergio Marchionne e dall’azienda.
Sono visi tirati dalla preoccupazione, dalla paura…Si, è una parola drammatica, ma si sono espressi proprio così: “Sappiamo che è un ricatto, ma il rischio che non faccia l’investimento a Torino, non possiamo correrlo: abbiamo figli, abbiamo il mutuo…..”
Altri e altre, gridano che non è giusto cedere, che non si possono accettare le limitazioni di diritti fondamentali quali la rappresentanza sindacale, la possibilità di scioperare a fronte di ingiustizie e vessazioni, di ricevere ritorsioni durante la malattia, di veder cancellare contratti e di dover subire il peggioramento della condizione di vita e della stessa salute attraverso l’elevamento dei turni e degli orari di lavoro.
Chiedono sopratutto di contrattare, non di subire le scelte che riguardano la loro vita.
Li abbiamo visti in questi giorni grazie alla FIOM che ha detto no ad un simile ricatto. Li abbiamo visti qualche mese fa a Pomigliano (che tra l’altro doveva rimanere un caso isolato).
Erano anni che non si parlava più di loro, lasciati al loro destino di cosiddette figure marginali. Non creava scandalo sentire definire il lavoro: interinale, intermittente, a tempo determinato; lavoro sempre più scarso, meno sicuro, con meno diritti perchè a termine. Dove la tanto decantata flessibilità introduceva la precarietà che ha sconvolto e impoverito la società, ha reso le persone uguali alle merci, ha tolto alle nuove e alle future generazioni, anche il diritto di sperare, pensare ad un futuro.
Noi delegate e delegati del settore tessile e non solo degli anni”70 abbiamo vissuto un’altra stagione, un altro tempo.
Un tempo in cui le grandi aziende, oltre alla fatica e ai problemi consentivano esperienze comuni, lotte di emancipazione dall’arretratezza economica e dalla subalternità (sopratutto per le donne).
Il lavoro non solo come necessità di affrancarsi dalla povertà, ma come avanzamento concreto verso l’uguaglianza, le richieste per ottenere le scuole per l’infanzia, le mense, il controllo della salute.
Era il tempo dove si arrivava ad affezionarsi alla macchina e al prodotto che si contribuiva a realizzare.
C’era l’orgoglio operaio (come abbiamo visto scritto sulle maglie dei lavoratori FIOM davanti ai cancelli).
Tutte rose,dunque?Ovviamente no! Avevamo Maramotti precursore di Marchionne, alla Max Mara il sindacato, le lavoratrici, i lavoratori erano ostacolati nell’esercitare i diritti che nelle altre fabbriche erano condizioni e relazioni normali.
Le condizioni di lavoro determinate dal cottimo, hanno rappresentato umiliazioni, divisioni tra le stesse lavoratrici, problemi di salute molto seri (consigliamo di leggere le loro testimonianze nel libro “lavorare e vivere a Max Mara”del 1987).
Abbiamo, dunque, vissuto il tempo della soggettività operaia, del protagonismo delle donne (entrate a migliaia nel mondo del lavoro) e attraverso le lotte, l’ottenimento di diritti fondamentali aggrediti pesantemente negli ultimi 30 anni.
I processi di ristrutturazione che a metà degli anni”70 hanno ridimensionato le grandi aziende, hanno prodotto il famoso “piccolo è bello” sconvolgendo l’apparato produttivo del Paese riducendolo alle miriadi di piccole aziende che oggi, oltre ad aver ridotto i diritti (scarsamente esigibili non essendoci in molti casi la presenza del sindacato), ne ha indebolito la possibilità di competere in questo selvaggio sistema che è la globalizzazione.
Queste nostre considerazioni vogliono dire che non esiste un solo modo di affrontare i problemi.
Che le imposizioni solo perchè si è in posizioni dominanti e per giunta privilegiate, non costruiscono buone relazioni, né sviluppo equilibrato, né la tanto sbandierata modernità.
L’atteggiamento della Fiat attraverso il ricatto: “votate si altrimenti chiudo”è l’affermazione più antica che le lavoratrici e i lavoratori conoscono.
Come pure le disparità di reddito che questi manager incarnano; antiche nella modalità, scandalose nella quantità.
Disparità che fa il paio con il concetto di modernità di questo governo e di molti politici: chiedere a chi lavora di accettare sacrifici, aumento di produttività attraverso l’aumento dei turni, straordinario non contrattato, riduzione delle pause……Mentre nel nostro Paese, si registra il più alto numero di parlamentari, ministri,sottosegretari; compensi più alti al mondo a fronte della più bassa presenza in parlamento, dei peggiori risultati sociali ed economici a livello europeo.
A tutto questo, si aggiunge la divisione a sinistra nell’esprimere una valutazione chiara sull’attacco che viene portato a chi lavora in questo Paese.
Il P.D.,il partito più grande dell’opposizione, ha preferito non prendere posizione a favore delle lavoratrici e dei lavoratori perchè diviso e perchè non li ritiene più soggetto di riferimento fondamentale.
A Reggio Emilia, si sono scomodati 24 sindaci (tra loro diverse sindache purtroppo) del partito Democratico che hanno invitato (tra le altre cose), a valutare nuove relazioni sindacali basate sulla presenza dei dipendenti nei consigli di amministrazione (alla tedesca, dicono) o la loro presenza nel capitale tramite fondi finanziari (all’americana).
Consigliamo loro di approfondire meglio le debite differenze tra le realtà che hanno citato e la reale situazione del nostro Paese.
Altro consiglio: valutino meglio le condizioni di lavoro, di diritti e di salario di chi lavora nelle cosiddette cooperative a cui affidano pezzi di servizi pubblici.
Ci risulta, che esternalizzano detti servizi, proprio perchè il costo del lavoro è inferiore. A scapito di chi?
E’ forse tale contraddizione che ha impedito un giudizio severo sull’atto d’imperio di Marchionne?
L’esito del voto al referendum/ricatto, ha dato un risultato chiaro. La risicata maggioranza dei si, non hanno dato carta bianca alla Fiat e ai sindacati che hanno firmato l’accordo di cancellare diritti e democrazia così duramente conquistati. Hanno detto no in maggioranza i lavoratori e le lavoratrici che avrebbero dovuto subirlo concretamente, sulla loro pelle. E’ con loro, dalla loro parte che vogliamo stare partecipando a tutte le iniziative di lotta che nei prossimi giorni decideranno a partire dallo sciopero del 27 Gennaio.
Marisa Iori ( delegata del calzificio Bloch)
Edda Montecchi (delegata Confit confezione)
Franco Spaggiari (delegato Max Mara)
Anna Scappi (delegata Max Mara)
Paola Vezzosi (delegata Max Mara )
Paola Tirelli (delegata Coop.Nord Emilia)
Piera Vitale (delegata calzificio Bloch)